Faccio subito mie le riflessioni di Gianluca Diegoli sul primo esperimento di co-working in spiaggia, a cui ho partecipato pure io:

Mentre tornavo in auto, riflettevo di quanta tristezza in questi anni ho visto transitare in molti uffici in cui aleggia quel senso di prigione, in cui le persone si sentono agli arresti domiciliari, mangiano solo con colleghi che odiano, con cui parlano di un lavoro o di un capo che altrettanto odiano, in cui la produttività e la creatività, apparentemente garantite dallo svolgersi in ambiente controllato e da orari stringenti, in realtà siano minime. Anzi, proprio quel sistema che in passato era stato creato per controllare il lavoratore, come se fosse un animale d’allevamento, ora è la causa dell’inefficienza e del disinteresse.

Nella intervista semi-seria che trovate qui sotto (mescolata a quelle degli amici) dichiaro che consiglierei senz’altro l’esperienza ai miei dipendenti. Confermo. I miei splendidi ragazzi lavorerebbero felicemente anche (forse soprattutto) sul cucuzzolo di una montagna, ma sulla efficacia del co-working ad ampio spettro qualche perplessità l’avrei.

Co-Working per tutti?

Le persone che odiano il lavoro e/o i loro colleghi, quelle a cui allude Gianluca nel corso del suo ragionamento, come reagirebbero immerse in un ambiente più ludico e ricreativo di quello abituale? Le tensioni si smorzerebbero e la produttività ne guadagnerebbe oppure, al contrario, approfitterebbero della situazione per rilassarsi fin troppo, cedendo alle inevitabili distrazioni? In fin dei conti l’esperimento Cowo on the Beach ha avuto successo anche e soprattutto, credo, perché i partecipanti sono tutte persone fortemente motivate, innamorate del proprio lavoro (e credetemi, a parte le battute ognuno di noi ha effettivamente lavorato nel corso della giornata!).

Ogni ambiente di lavoro è unico e distino, quindi non penso che esista una risposta assoluta, ma questa è una domanda che ogni datore di lavoro si porrebbe senz’altro. L’argomento mi sta particolarmente a cuore perché proprio in queste settimane stiamo valutando la possibilità di sperimentare in azienda metodi di lavoro alternativi a quelli tradizionali, come per esempio il telelavoro.

Sulla efficacia dei piccoli eventi

Nel suo articolo Gianluca accenna al fatto che il tempo incerto ha scoraggiato alcuni di quelli che si erano iscritti all’evento. E’ un peccato in effetti, anche perché la giornata tutto sommato è stata bella (abbiamo fatto anche il bagno!). A tavola mi dicevo però che non tutto il male vien per nuocere. Il gruppo ristretto ha consentito a tutti partecipare attivamente alla stessa discussione. Una tavolata di molte persone avrebbe portato alla creazione dei mini-conciliaboli tipici degli eventi di più ampio respiro, con conseguente frammentazione della discussione. E’ più facile che si creino intimità e senso di unità quando il gruppo è ridotto.

Con questo non voglio dire che sono contento delle assenze: si partecipa a un evento proprio per conoscere nuove persone interessanti. Senz’altro però la formula “cowobeach” è interessante anche perché  è diversa nei numeri. Non si tratta di uno dei soliti eventi che puntano alla partecipazione di massa.

Nota a margine per i geek che mi leggono

L’81% dei notebook impiegati al #cowobeach erano dei Mac Book. Io probabilmente rappresentavo il caso più singolare: in realtà scrivevo ed eseguivo codice sulla mia postazione Windows in ufficio, collegato dalla spiaggia via TeamViewer. Fa impressione constatare come in pochi anni l’adozione dei Mac da parte dei professionisti del settore sia aumentata.